I Magi di Bosch, il Natale sullo sfacelo

La questione dei saperi (al plurale) è piuttosto delicata in un tempo in cui ciascuno si sente specialista nel proprio ambito e non osa avventurarsi in altri campi per timore di esserne respinto come presuntuoso e incompetente. È pertanto in punta dei piedi che da biblista mi affaccio verso un’opera d’arte e cerco di descrivere quello che coglie un esegeta dinanzi a un dipinto. Ho scelto come banco di prova l’Adorazione dei Magi di Hieronymus Bosch, un soggetto frequente nella storia dell’arte, ma profondamente rivisitato dall’artista olandese. La scena è raffigurata in tre pannelli, dove quello centrale ospita la scena principale e quelli laterali riproducono i committenti e scene marginali. Lo sfondo su cui si collocano i personaggi principali è una capanna diroccata. Non è raro che la Natività sia ambientata in un contesto di desolazione (lo stesso Bosch aveva ritratto la medesima scena in un castello diroccato un decennio prima in una pala oggi esposta al Metropolitan) ma solitamente lo stato di sfacelo viene attribuito al mondo pagano, mentre in questo caso numerosi elementi fanno capire che l’artista considera in disfacimento il mondo giudaico. La figura che si affaccia sull’uscio della capanna con un manto scarlatto e un copricapo regale è da intendere quasi certamente come un’allusione al messia giudaico, qui fatto coincidere con l’Anticristo di molta letteratura cristiana dall’Apocalisse in poi. All’interno dell’edificio vi sono abbozzati i suoi sgherri, facce poco raccomandabili come quelle che tratteggerà nella celebre Salita al Calvario, classica raffigurazione del perfido giudeo. Infine concorre alla caratterizzazione negativa del giudaismo la testa d’asino che appare da un’altra apertura. È alquanto anomalo che l’asino compaia da solo senza il bue, perciò il riferimento non pare essere quello classico di Is 1,3 («Il bue conosce il suo proprietario e l’asino la greppia del suo padrone») ma l’accusa che i pagani rivolgevano ai giudei di adorare nel tempio una testa d’asino, volgarizzata da Tacito.
Se l’artista non è tenero con il mondo giudaico, neppure verso il mondo pagano si trattiene dall’esprimere delle serie riserve. È noto che i Magi rappresentano l’ossequio della scienza pagana al Messia salvatore del mondo, ma le tre figure che onorano il Bambino presentano tratti ambigui. Secondo una tradizione che si fa risalire alla rilettura del salmo 72 («I re di Tarsis e delle isole portino tributi, i re di Saba e di Seba offrano doni») essi hanno assunto i contorni di figure regali in modo estraneo al testo evangelico. Qui poi la rievocazione di Saba è ripresa nel collare del re più giovane che rappresenta appunto la visita della regina di Saba a Salomone. Più curiose, invece, sono le scene bibliche riproposte dagli altri Magi: il moro tiene in mano una palla in cui è dipinta la scena di Davide che torna dalla battaglia e viene ristorato (allusione alla discendenza davidica di Gesù) e il più anziano depone ai piedi di Maria una composizione che descrive il sacrificio di Isacco sul monte Moria, episodio che tradizionalmente rievoca la Passione di Gesù. Ora, la presenza di un animale, cioè la testa d’asino, che è posto sulla stessa linea del Bambino ci ricorda che nell’Apocalisse i re della terra si accordarono con la grande prostituta e adorarono la bestia (Ap 17,17-18). L’artista pare voler sottolineare che essi sono chiamati a scegliere chi vogliono adorare, la bestia o il Bambino.
L’opera nel suo complesso appare, dunque, piuttosto inquietante: attorno alla Madonna e al Bambino, relegati in un piccolo spazio, c’è un mondo violento simboleggiato dalle scene sullo sfondo che descrivono eserciti in battaglia e animali che assalgono gli uomini, un mondo ostile verso il Messia rappresentato dai giudei legati a un’istituzione, la religione giudaica sotto le spoglie della capanna, che sta crollando sotto il peso degli anni puntellata da un alberello che separa gli adoratori dalla Santa Famiglia. Eppure la soluzione c’è. Ricordiamo che questi pannelli formano una pala d’altare e la scena presenta due chiari rimandi all’Eucaristia nella composizione del sacrificio di Isacco e nel piattino che il giovane magio inginocchiato porge al Bambino. La strabiliante fantasia di Bosch non ha partorito soltanto dei mostri, ma anche la serena fiducia in colui che donando la sua vita riscatterà il mondo da tutte le sue brutture e lo rimetterà in sesto.

prof. Gian Luca CARREGA
Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale
Sezione Parallela di Torino

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