La vita buona: un’azione di cura

Si parla molto di cura, oggi. Ma forse mai abbastanza. La cura è infatti un’esperienza necessaria nella vita umana: senza cura l’essere umano non può fiorire nelle sue potenzialità, non può vivere nel mondo, non può venire alla luce nella sua unicità con e per gli altri.

La cura ha le caratteristiche di un’esperienza fondamentale: veniamo nel mondo accolti dalle braccia di una madre e, alla fine della vita, qualcuno comporrà il nostro corpo mortale. Con cura. Qualora ciò non avvenisse riconosceremmo questi momenti della vita come non autenticamente umani. Lo stesso accade lungo lo scorrere dei giorni, quando la vita rende manifesti due tratti dell’essenza umana: vulnerabilità e fragilità.

Che siamo esseri fragili è evidente dal fatto che non abbiamo l’essere in noi stessi: nasciamo da altri e siamo prorogati nell’essere di momento in momento (Stein, 1999), sempre esposti al nulla che ci può nientificare (Heidegger, 1999). Quando veniamo al mondo non abbiamo una forma precisa, ma il compito esistenziale di dare forma al nostro essere: un processo che però non ha nessuna garanzia di risultato, che può fallire, in quanto nessun programma biologico ci indirizza nella nostra formazione.

Siamo esseri vulnerabili perché esposti ad altro e ad altri: esposti al mondo e alle sue intemperie, ci confrontiamo con altri umani di fronte che ci possono ferire, tradire, condannare.

Eppure fragilità e vulnerabilità non sono l’ultima parola nella definizione dell’essere umano: insieme a questa condizione precaria sperimentiamo quotidianamente che siamo conservati nell’essere istante dopo istante (Stein, 1950). È questo il paradosso dell’esistenza: consapevoli della nostra condizione di precarietà ci sentiamo conservati e facciamo spesso esperienza di cura.

Ma che cos’è la cura? Partiamo da una definizione semplice, per guidare l’analisi e l’approfondimento: aver cura è prendersi a cuore, preoccuparsi, avere premura, dedicarsi a qualcosa.

La cura è una pratica, un’azione, guidata da un’intenzione. Nel linguaggio metaforico di Heidegger, che riprende la nota favola di Iginio (Heidegger, 1976, p. 247), la cura è una persona che agisce; di cura si può parlare soltanto quando un’intenzione, un pensiero, un progetto si traducono in azione visibile e “sensibile”

‘La Cura’, mentre stava attraversando il fiume scorse del fango cretoso; pensierosa ne raccolse un po’e incominciò a dargli forma. Mentre è intenta a stabilire che cosa avesse fatto interviene Giove. La ‘Cura’ lo prega di infondere lo spirito a quello che aveva formato, Giove glielo proibì e pretendeva che fosse imposto il proprio. Mentre la ‘Cura’ e Giove disputavano sul nome, intervenne anche la Terra, reclamando che a ciò che era stato formato fosse imposto il proprio nome, perché gli aveva dato una parte del proprio corpo. I disputanti elessero Saturno a giudice. Il quale comunicò loro la seguente equa decisione: Tu, Giove, poiché hai dato lo spirito, alla morte riceverai lo spirito; tu, Terra, poiché hai dato il corpo, riceverai il corpo. Ma poiché fu la Cura che per prima diede forma a questo essere, fintanto che esso vivrà, lo possieda la Cura. Poiché la controversia riguarda il suo nome, si chiami homo poiché è fatto di humus (Terra).

La cura che impasta l’argilla e dà forma all’essere, è metafora di chi con i gesti e con la parola tiene nel cuore l’altro e fa in modo che il suo stare nel mondo sia il più umano possibile. La cura è dunque una pratica guidata dall’intenzione di fare il bene dell’altro.

La cura assume diverse direzionalità: la cura che mantiene nell’essere (merimna), la cura che ripara le ferite dell’essere (therapeia), la cura che fa fiorire l’essere (epimeleia). Abbiamo bisogno di cura in quanto il nostro corpo e la nostra anima hanno bisogno di sostentamento; abbiamo bisogno di cura quando il nostro corpo e la nostra anima si ammalano o sono feriti dalle esperienze; abbiamo bisogno di cura per fiorire e dare forma al nostro essere possibile.

Ma c’è una sorprendente meraviglia nell’esperienza della cura: una cura autentica è umana e umanizzante sia per chi la riceve che per chi la offre.

Abbiamo bisogno di ricevere cura, ma abbiamo altrettanto bisogno di prenderci cura di altro e di aver cura d’altri in quanto, come ben dice Heidegger, “ognuno è quello che fa e di cui si cura” (Heidegger, 1999, p. 152). Se abbiamo cura di certe relazioni il nostro essere sarà assumerà la forma di quanto ci si scambia in queste relazioni. Se abbiamo cura di certe idee, la nostra mente sarà modellata da questo lavoro; se ci prendiamo cura di certe cose, sarà l’esperienza di quelle cose e del modo di stare in relazione a esse a strutturare la nostra essenza. Nella cura di certe persone l’esperienza con e dell’altro diverrà parte di noi. Della cura si può pertanto parlare nei termini di una fabbrica dell’essere.

Se è vero dunque, come afferma la filosofa Nel Noddings che “ogni persona vorrebbe essere oggetto di cura” è altrettanto vero che  “il mondo sarebbe un luogo migliore se tutti noi ci curassimo di più gli uni degli altri” (Noddings, 2002, p. 11)..

Luigina Mortari
Direttrice del Dipartimento di Scienze Umane dell’Università degli Studi di Verona

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