Gratuita’ e relazioni, basi di un’economia “umana”

La sfera del mercato ha rotto il suo argine generando un profondo cambiamento nel modo di concepire la realtà. La nostra epoca sta vivendo un grande evento di portata mondiale che fa venire a galla tutte le contraddizioni di una economia che ha perso la direzione.
Nel giro di poco tempo la crisi economica mondiale, iniziata dapprima come finanziaria per trasformarsi successivamente in economica e occupazionale, è diventata crisi umana e sociale in grado di incidere pesantemente sui fondamenti stessi della vita civile.
I paradigmi dominanti dell’economia odierna, ossia la ricerca di risultati redditualinel breve (meglio brevissimo!) periodo e la logica della competizione sfrenata (con mezzi più o meno leciti) tesa a far sopravvivere solo i più forti, entrano in crisi tanto a livello interpretativo quanto a livello normativo; non sono in grado di spiegare ciò che sta succedendo e soprattutto non sono in grado di fornire ricette efficaci. Le grandi questioni dell’esclusione, della pace, dell’ambiente, delle generazioni future rivelano ampiamente sia l’insufficienza del mercato quale regolatore supremo, sia quella dell’individualismo metodologico come norma comportamentale.
Dall’economia di mercato si è passati così ad una società di mercato, nella quale lo scambio mercantile si estende ad ambiti sempre più vasti del vivere civile quali la cultura, la salute, il tempo libero. Tutto ciò è accaduto perché la logica di mercato genera il cosiddetto «effetto di commercializzazione».
Tale processo trasforma il modo di percepire e valutare i beni (soprattutto quelli relazionali) i quali, considerati secondo parametri inferiori o inappropriati, vengono «corrotti» e degradati.
La logica mercantile, quando applicata anche alle relazioni umane (amicizia, fiducia, amore, stima, ecc.), lascia su di essi il proprio segno perché perdono il loro valore intrinseco, che non è mai valutabile in termini monetari.
Le società occidentali, oggi, sono povere di beni relazionali. Le persone, inserite in ingranaggi sempre più stringenti, non hanno tempo per coltivare le relazioni vere e autentiche e cercano di soddisfare le loro esigenze relazionali attraverso surrogati. Il mercato è molto bravo ad intercettare queste esigenze non appagate proponendo beni-merce che, in modo illusorio, cercano di soddisfare questa domanda. Ad esempio, l’amicizia e il dialogo diretto con le persone sono stati sostituti dai social network, i quali creano l’illusione nelle persone che li frequentano di avere molti «amici» con i quali relazionarsi in qualunque momento.

Davide Maggi

Peccato che di fronte a loro ci sia solo uno schermo piatto senza calore umano! Commercializzare un bene significa cambiarne il significato legandolo a criteri di natura economica. Il processo di commercializzazione, che si estende ai diversi campi della vita, crea così un effetto di allontanamento di tutti quei principi interiori non di mercato
che spingono l’uomo all’azione e le persone sembrano rimanere solo legate alla ricerca del guadagno come unica molla per il loro agire.
Le virtù civiche, la fiducia reciproca, il senso del dovere che sono il vero collante della vita sociale vengono meno.
Di fronte a questo scenario una domanda sorge spontanea: è possibile umanizzare l’economia e, se sì, quali strategie si possono mettere in campo per realizzare questo processo di cambiamento?
Solo attraverso il recupero di un umanesimo integrale l’economia potrà essere veramente giusta e portare a uno sviluppo armonico ed equilibrato della società. Per raggiungere questo obiettivo è necessario far sì che i rapporti umani possano realizzarsi anche all’interno delle attività economiche, non soltanto al di fuori di essi o dopo che i guasti sono stati fatti.
Come bene argomenta Stefano Zamagni, tre le dimensioni che vanno armonizzate e alimentate a vicenda lo scambio di mercato, la ridistribuzione e la reciprocità. Un ulteriore interrogativo che può sorgere è se veramente una struttura economica con uno spirito nuovo, avente al centro la persona e che punti a uno sviluppo integrale, abbia realisticamente la forza di affermarsi su vasta scala e trionfare sull’attuale concezione economica. La risposta a questo quesito per ora non c’è. Tale movimento non può che iniziare dal basso e tale compito, per quanto arduo, non deve spaventare, anzi deve essere portato avanti con passione ed entusiasmo. Solo così sarà possibile tornare a custodire e coltivare il giardino prezioso che è la comunità umana.

 

Davide MAGGI
Università del Piemonte Orientale

 

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